Distribuzione del pane precotto: la recente pronuncia del Consiglio di Stato

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Il caso

L’ordinanza in commento muove da un giudizio amministrativo definito con provvedimento di rigetto del Consiglio di Stato, pubblicato lo scorso 7 ottobre 2021, in ordine alla impugnazione di una sanzione amministrativa emessa da un’Azienda sanitaria nei confronti di una società, proprietaria di un supermercato, cui era stata contestata la violazione della disciplina sul preconfezionamento del pane parzialmente precotto e surgelato.

Nella fattispecie, il provvedimento dell’Asp richiamava quanto contenuto nel verbale dei Carabinieri del Nas, i quali avevano proceduto a sequestro di 23 kg circa di pane precotto in vendita negli espositori, avendo riscontrato che “un cliente anziano, senza l’utilizzo della protezione di guanti, dopo aver toccato diversi pezzi di pane, ne ha scelto alcuni che ha finalmente acquistato”.

Orbene, Il C.d.S. ha rigettato le domande della società in sede di gravame richiamando in parte qua la normativa di riferimento invocata dall’appellante e fornendone una più corretta interpretazione.

Il quadro normativo

L’art. 14, comma 4, della legge n. 580/1967 recante la Disciplina per la lavorazione e il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari stabilisce che “Il pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato o non, deve essere distribuito e messo in vendita, previo confezionamento ed etichettature riportanti le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari, in comparti separati dal pane fresco e con le necessarie indicazioni per informare il consumatore sulla natura del prodotto”.

Le concrete modalità di distribuzione e messa in commercio del prodotto sono individuate dall’art. 1 del “Regolamento recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e di commercio del pane, a norma dell’articolo 50 della L. 22 febbraio 1994, n. 146, approvato con d.P.R. del 30 novembre 1998, n. 502, che stabilisce che “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, comma 4, della legge 4 luglio 1967, n. 580, come modificato dall’articolo 44 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, il pane ottenuto mediante completamento di cottura da pane parzialmente cotto, surgelato o non surgelato, deve essere distribuito e messo in vendita in comparti separati dal pane fresco e in imballaggi preconfezionati riportanti oltre alle indicazioni previste dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, anche le seguenti: a) «ottenuto da pane parzialmente cotto surgelato» in caso di provenienza da prodotto surgelato; b) «ottenuto da pane parzialmente cotto» in caso di provenienza da prodotto non surgelato né congelato. Ove le operazioni di completamento della cottura e di preconfezionamento del pane non possano avvenire in aree separate da quelle di vendita del prodotto, dette operazioni possono avvenire, fatte salve comunque le norme igienicosanitarie, anche nella stessa area di vendita e la specifica dicitura di cui al comma 1 deve figurare altresì su un cartello esposto in modo chiaramente visibile al consumatore nell’area di vendita”.

La soluzione del Consiglio di Stato

Ebbene, dalle due disposizioni sopra richiamate si evince con chiarezza la necessità che la vendita del pane parzialmente cotto sia preceduta dal suo confezionamento presso aree “separate da quelle di vendita” ovvero, solamente ove ciò non sia possibile, nella stessa area di vendita “fatte salve comunque le norme igienicosanitarie”.

Come rilevato dal Consiglio di Stato, “la deroga concerne l’ubi, ma non l’an” ossia la obbligatorietà del confezionamento preventivo rispetto alla distribuzione.

La modalità di vendita in esame si era rivelata in concreto del tutto inidonea a garantire il rispetto delle norme igienicosanitarie e, quindi, le più elementari esigenze di sicurezza alimentare.

Alla base di tale scelta normativa vi è sicuramente il perseguimento di un certo di livello di “sicurezza alimentare”, mediante la esclusione (rectius riduzione) del rischio di contaminazione del prodotto da parte dei consumatori finali, aventi libero accesso al prodotto stesso.

Inoltre, è evidente come il confezionamento preventivo costituisca una prescrizione aggiuntiva a quella legata alla etichettatura, volta a segnalare al consumatore la specificità del prodotto in distribuzione – nel caso specifico, pane precotto anziché pane fresco – e ottimizzare, così, il livello di informazione e, quindi, consapevolezza del consumatore.

La pronuncia della Corte di Cassazione

Anche la Corte di Cassazione è stata investita da una questione analoga, sul presupposto di una presunta violazione degli artt.3 e 41 Cost. da parte della normativa di riferimento in quanto discriminatoria e lesiva della libertà di impresa.

Con ordinanza n. 8197 del 27 aprile 2020, la Cassazione Civile, chiamata a pronunciarsi a seguito di un giudizio, svolto in sede amministrativa, avente ad oggetto la medesima questione, ha ritenuto insussistenti, in primis, i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in relazione al principio di libera circolazione delle merci, atteso che la CGUE “ha dichiarato legittimo sul piano unionale l’obbligo di preconfezionamento del pane a cottura frazionata, purché esso sia applicato indistintamente ai prodotti nazionali come agli importati, e non rappresenti, quindi, un ostacolo all’importazione intracomunitaria (CGUE 18 settembre 2003, C416/00, Morellato)”.

La stessa ordinanza ha ritenuto, inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni invocate in giudizio (artt. 14 l. n. 580 del 1967, e 1 d.P.R. n. 502 del 1998), in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, nella parte in cui prescrivono l’obbligo di preconfezionamento per il solo pane precotto, e non anche per il pane fresco, in quanto sulla scorta di tale argomento: “Per uniforme giurisprudenza costituzionale, non vi è lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti generali d’esercizio corrisponda all’utilità sociale, a norma dell’art. 41 Cost., comma 2, purché l’individuazione dell’utilità sociale non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non la perseguano con misure palesemente incongrue (ex multis, Corte Cost. 31 marzo 2015, n. 56; Corte Cost. 21 luglio 2016, n. 203; Corte Cost. 24 gennaio 2017, n. 16; Corte Cost. 2 marzo 2018, n. 47). Rendere il consumatore edotto di una qualità essenziale del pane, precotto anziché fresco, è sicura ragione di utilità sociale, rispetto alla quale il preconfezionamento non è misura incongrua, poiché si aggiunge ad altre (etichettatura e cartellonistica) nel segnalare al consumatore la lavorazione differenziata del pane in acquisto.

Chiamata nuovamente a pronunciarsi sul punto, con Ordinanza n.14712 del 10 luglio 2020, la Corte di Cassazione, nel ribadire quanto affermato appena due mesi prima, ha ribadito il diritto del consumatore di ottenere una informazione specifica e precisa circa la sussistenza di una rilevante differenza tra due prodotti messi in commercio, apparentemente “simili” (pane fresco e non) onde non può affermarsi che il primo corrisponda al secondo, né che – per logica conseguenza – sussista una violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 41 Cost., in relazione al trattamento diversificato che la legge prevede, soprattutto in vista della tutela del consumatore, per il prodotto finale derivante dai due diversi processi produttivi.

La suprema Corte, richiamando la motivazione del Giudice a quo, ha ribadito come “… il legislatore italiano, al duplice fine di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione tradizionale… e, soprattutto, per consentire al consumatore di accedere ad informazioni corrette sulla qualità del pane da acquistare, anche in ossequio a quanto disposto dalla L. n. 146 del 1992, art. 50, ha posto l’accento sulla differenza tra “pane fresco”, inteso come pane prodotto secondo un processo di produzione unico e continuo nell’arco della giornata, e “pane conservato”, il cui processo di produzione è connotato da interruzioni finalizzate al congelamento e il cui completamento di cottura è posticipato (cfr. art.4 L. n.248/2006).

Ha inoltre affermato che tale diversità di trattamento non comporta alcuna limitazione all’importazione o alla messa in commercio del pane ottenuto dal completamento della cottura di prodotto precotto e surgelato, né – in termini generali – alla libertà di iniziativa economica individuale, avendo peraltro cura di precisare che le esigenze di tutela e protezione del consumatore valgono comunque quale “possibile limite di utilità sociale”, di cui alla richiamata disposizione costituzionale.

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Avv. Manuela Marullo

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