Solfiti nella salsiccia. Quando il vino è un ingrediente

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Quando si parla di “solfiti”, ci si riferisce  a varie sostanze che vengono utilizzate come conservanti, per evitare l’ossidazione.

Nell’immaginario collettivo, la parola solfiti riporta subito alla mente il vino. In effetti, sono ampiamente utilizzati per la sua conservazione, in virtù delle loro proprietà antimicrobiche e antiossidanti.

Ma pensare di trovarli solo nel vino è un grande errore. I solfiti sono infatti abbondantemente utilizzati nell’industria alimentare come conservanti.

Le loro sigle iniziano con la lettera E. L’anidride solforosa è indicata con E220; i solfiti sono segnalati con E 221 – E 222 – E 223 – E 224 – E226 – E 227 – E228.

Le tipologie di cibo con cui si impiegano vanno dalla frutta secca  ai succhi, la verdura conservata, ma anche per alcuni tipi di pescato e soprattutto negli alimenti a base di carne come hamburger e hot dog.

Normalmente si potrebbe essere portati a pensare che l’aggiunta di additivi finalizzati alla conservazione del cibo sia un problema dei soli prodotti “confezionati” o a “lunga conservazione”, ma non è esattamente così.

Infatti, potrebbe anche accadere di acquistare dei prodotti “freschi” al supermercato o in macelleria ed imbatterci egualmente nella presenza di tali sostanze.

La disciplina comunitaria

Prima di analizzare tale aspetto, soffermiamoci un attimo sulla normativa di riferimento e sui limiti che essa impone ai produttori/venditori.

I Solfiti rappresentano l’unica categoria di sostanze – tra le 14 previste nell’Allegato II del Regolamento (UE) n. 1169/2011 – caratterizzata da una soglia di tolleranza, al di sotto della quale non è prescritta la dicitura in etichetta. Con l’entrata in vigore della Direttiva CE n.89/2003 (“direttiva allergeni”) è obbligatorio indicarne la presenza nel vino e negli altri alimenti quando la concentrazione supera i 10 mg/L o i 10 mg/kg

Con particolare riferimento alla problematica degli additivi alimentari utilizzati nella preparazione di carni occorre fare riferimento al Regolamento CE n. 853/2004, secondo il quale i prodotti additivi possono essere utilizzati solo per specifici alimenti quali, testualmente, “breakfast sausages, burger meat con un contenuto di ortaggi e/o cereali non inferiore al 4 % mischiato all’interno della carne (..) salsiccia fresca, longanizafresca, butifarra fresca”, e nei limiti dell’inserimento di solfiti ed anidride solforosa.

Con particolare riferimento al settore della carne, le “categorie di prodotti alimentari della carne e l’uso di determinati additivi alimentari nelle preparazioni di carni” sono disciplinati dal Reg. UE 601/14 della Commissione, che modifica l’allegato II del cosiddetto “regolamento additivi”, (regolamento CE 1333/08 del Parlamento e del Consiglio).

Ma anche se siamo di fronte ad un Regolamento europeo, il quale è direttamente applicabile in ogni Stato membro, si ritiene che ci si riferisca in modo specifico a prodotti tipici di altri stati membri dell’Unione Europea differenti ma in qualche modo “affini” alle salsicce di carne suina e bovina prodotte in Italia.

Il caso particolare delle salsicce italiane

Si è posto, dunque, il problema di stabilire se la disciplina comunitaria che consente un uso, sia pure estremamente limitato, di additivi nella preparazione di carni possa applicarsi in via analogica anche alle nostrane salsicce.

Secondo alcune pronunce della Giurisprudenza, ci si troverebbe di fronte a  “prodotti tipici di altri paesi Europei, differenti, per procedimento di preparazione e anche per composizione (come anche specificamente indicato dal legislatore comunitario per breakfast sausages e burger meat), dalla salsiccia di carne bovina e suina prodotta in Italia, cui non possono quindi essere assimilati.” (Corte di cassazione penale, sez. III, 28.08.2019, n. 36471).

I Giudici, in fattispecie concrete di rinvenimento di additivi in salsicce fresche preparate presso delle macellerie, hanno evidenziato che “gli additivi utilizzati non rientrino in alcun modo nell’elenco contenuto nel Regolamento CE n. 1333/2008 e che, in ogni caso, la possibilità di aggiungere additivi riguarda i soli prodotti alimentari espressamente citati nel Regolamento CE n. 853/2004, cui non possono essere assimilate le salsicce prodotte in Italia”

E’ anche vero che occorre espressamente distinguere tra “preparazione di carne” e “prodotto a base di carne” (ai sensi del reg. CE 1333/08, allegato II, categoria 08).

Solo per quest’ultimo sono consentiti dei trattamenti, come ad esempio la marinatura, la quale, intesa come un “trattamento”, ai sensi del regolamento Igiene 2 (reg. CE 852/04), è consentita ed ha la finalità di proteggere un prodotto che, non essendo destinato al consumo immediato, protetto da possibili proliferazioni di batteri patogeni.

Pur tuttavia, le storie di cronaca ci raccontano delle problematiche delle salsicce, dunque, considerate come “preparazione di carne”, le quali, in assenza di intenzionali aggiunte di prodotti conservanti ed additivi, abbiano fatto registrare la presenza di solfiti nella propria composizione.

La spiegazione a questo fenomeno è da ricercare in alcune determinate modalità di preparazione di prodotti e preparati di carne, (si pensi alle salsicce), i quali prevedano l’inserimento, tra gli ingredienti, di altri cibi contenenti solfiti (prima tra tutto il vino, ma anche pomodori secchi e/o altra frutta secca contenente solfiti)

La cronaca italiana è piena di casi del genere. Basti pensare alle famose “salsicce di Bra”, le quali sono pur sempre dei “PAT” (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) italiano, definito nella sua composizione da un rigido disciplinare di produzione controllato dal Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione.

Occorre ricordare che i solfiti sono delle sostanza che possono avere un’azione allergenica e che dunque è in gioco la salute dei cittadini.

Dunque, in caso di utilizzo ingredienti, come il vino, nella preparazione di prodotti freschi a base di carne, (ma non solo), destinati ad un consumo immediato, come le salsicce, occorrerà dunque fare bene attenzione a non sforare i limiti di legge consenti dalla normativa.

In caso contrario, si incorrerà nella commissione di reati (art. 5 L 283/62 e art 516 codice penale).

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Avv. Manuela Marullo

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